È una bella rivolta, un bel rovesciare il Gran Mondo là fuori...
Il bisogno, quasi istintivo, di dire grazie ha accompagnato le culture umane, compresa la nostra, fino alla metà del secolo scorso.
Soprattutto le culture contadine vivevano un senso di interdipendenza con tutto ciò che circonda la vita e le attività umane: l'aria, l'acqua, le stagioni, la terra, i fenomeni meteorologici, la collaborazione nello scambiarsi semi e aiuto nei momenti cruciali dei lavori agricoli. Tutti questi fattori erano riconosciuti come imprescindibili per la riuscita dei raccolti e quindi per la sopravvivenza.
Le feste del Ringraziamento sono sempre esistite da quando si sono formate comunità stanziali.
Ora sembra che, nei Paesi più “civilizzati”, questo sentimento sia in via d'estinzione : è vero che resistono delle manifestazioni più o meno radicate qua e là, ma assumono sempre più un carattere folcloristico, per non dire museale.
Mi viene da pensare che sia cambiato qualcosa di fondamentale, che si sia spostato di molto il punto dal quale osserviamo le cose per le quali prima ci veniva spontaneo ringraziare.
Abbiamo deviato i fiumi e portiamo l'acqua dove vogliamo; abbiamo prodotto concimi artificiali, antiparassitari sintetici e diserbanti così da aumentare le rese e ridurre il lavoro manuale; abbiamo inventato le monocolture,le meccanizzazioni specializzate e abbiamo applicato le leggi della catena di montaggio industriale dando così avvio all'agroindustria; abbiamo creato ambienti artificiali così non dipendiamo più dalle stagioni; stiamo “creando” semi straordinari nei laboratori per “razionalizzare” finalmente la terra e il cibo (e presto noi stessi).
Abbiamo modificato lo scopo.
Lo scopo dell'agricoltura era il cibo, il nutrimento: ora non è più così.
Ciò che si ottiene dalla terra è diventato una merce, oggi si dice “commodity”, un prodotto come tanti altri, svincolato dalla sua intrinseca ragion d'essere: può essere usato per sfamare la gente o come miniera dalla quale si estrae carburante per macchine e attività industriali; può servire a sostenere allevamenti intensivi di migliaia di animali ridotti a macchine produttive, come per spostare gli indici delle borse internazionali; può servire a costringere una Nazione debole a obbedire alle richieste di altre Nazioni o aziende Mulinazionali.
Abbiamo assunto il controllo dell'acqua, del clima, dei parassiti, delle avversità, delle stagioni, dei semi, dei mercati, delle Comunità, dei Popoli: chi dovremmo ringraziare?
La ricetta è perfetta, con un unico effetto collaterale: la guerra.
Siamo in guerra con i nostri vicini, che sono diventati concorrenti; siamo in guerra con i prezzi, che sono diventati la legge; con i Popoli, che sono diventati ostacoli per il Mercato Globale; e siamo in guerra con la salute, con la vivibilità dei luoghi che abitiamo, con ogni specie che ci circonda, con l'atmosfera, con la natura.
Qualche giorno fa abbiamo partecipato a “Chiamata a Raccolto”, un'avventura che rivive ormai da un bel po' di anni grazie all'energia di una Comunità del Territorio Feltrino-Bellunese. Gli Amici di Coltivare Condividendo continuano a manifestare e condividere generosamente con chiunque i frutti dei loro sforzi mai sopiti durante tanti anni di rivolta.
Uso apposta questo termine perché è familiare a chi ha ancora la fortuna e la responsabilità di rimettere le mani, il cuore e la testa alla terra.
La rivolta è quella che facciamo noi contadini con la vanga quando abbiamo calpestato oltre un certo limite la terra (e ad oggi tutti noi umani la calpestiamo assai…) per far entrare aria nuova nel suolo, per sciogliere i ristagni e permettere all'acqua di scorrere ed essere assorbita, per consentire al variegato e numeroso Popolo sotterraneo di vivere al meglio e sostenerci (poiché è questo Popolo il vero coltivatore del nostro cibo).
Rivoltarci è azione urgente che dobbiamo attuare a noi stessi: voltarci di nuovo con attenzione e devozione verso quelle parti che abbiamo dimenticato di considerare, di rispettare, di ringraziare. Dobbiamo rivoltarci parecchio perchè stiamo andando a rovescio. Non dico che dobbiamo tornare indietro, decrescere, ecc. Non sopporto le parole decrescita e resilienza.
Tutti gli esseri viventi vengono al mondo per crescere, il problema è cosa intendiamo per crescita: PIL, economia, accumulo, benessere, medaglie, consapevolezza, responsabilità?
E resilienza è un termine che si addice ai metalli e stabilisce il loro grado di ritorno alla condizione di partenza dopo una flessione o uno stress.
per superare una crisi non possiamo pensare di ritornare come prima, dobbiamo evolvere per evolvere ed accrescerela nostra consapevolezza .
La mole di violenza che abbiamo scaricato sulla terra ci richiede un salto di qualità veramente grandedobbiamo scomodarci e reinventarci.
La cosa straordinaria che incontri a “chiamata a raccolto” è un fiume di gente viva: ti parla guardandoti negli occhi, ti dona la testimonianza tangibile del proprio rispetto, i semi.
È come una benedizione: mani che si aprono sopra la nostra mano tesa, lasciando cadere una manciata di semi indigeni. Nessuno ti chiede un soldo per questi semi: è una bella rivolta, un bel rovesciare il Mondo là fuori! Non c'è prezzo che possa pagare un seme vero, intero, vivo, libero.In cambio ci può solo stare la respons-abilità di far continuare il cammino che lo ha portato fino a te, attraverso generazioni, guerre, amori, carestie, abbondanza, uragani… .
Ho la sensazione di fluttuare in una Coscienza Collettiva dove percepisco che l'unica azione utile è pro-cedere, pro-sperare.
Sì, non m'illudo, i problemi sono tanti, sono gravi e ce li ritroveremo ancora tutti addosso, appena usciti da questo piccolo luogo beato.
E chi ce li risolverà? La scienza? La tecnologia? La politica? L'economia? La religione? La protezione civile?
Forse l'aggettivo che meglio si addice a chi ritorna ogni anno a “chiamata a raccolto” è “ingenuo”.
Di questo aggettivo è rimasta soprattutto la connotazione negativa, ma il suo primo significato è: nato libero, semplice, innocente.
Trovo che siano gli stessi attributi che possiamo dare ad un seme sano, che rappresenta un nuovo inizio.
Forse la via d'uscita è semplificare ciò che abbiamo così diabolicamente complicato.
E tornando a casa mi risuona in mente un ritornello
“All'ingenuità somiglia la Saggezza” (Consorzio Suonatori Indipendenti)
Grazie della Chiamata!