Il pane è uno di quegli alimenti che meglio rappresenta la simbiosi tra l’essere umano e i microrganismi, una sinergia iniziata molto tempo prima, ma che in questo caso rappresenta davvero l’inizio della civiltà, o almeno di quella stanziale, di cui siamo figli.

Già gli antichi greci lo ponevano alla base della loro triade alimentare -pane, vino e olio: da frumento, uva e olive- e con questa si elevavano ad uno status superiore rispetto ai barbari, coloro che vivevano al di fuori della Polis, ancora pastori, nomadi, cacciatori-raccolgitori. Dal termine companatico (che accompagna il pane) già si può intuire quanto sia stato un alimento indispensabile nel corso della storia: oltre a una gran riserva energetica, possiede molti sali minerali e acidi grassi che lo rendevano tra gli alimenti più completi della nostra tradizione. Vediamo ora come lo prepariamo oggi.

La prima fase è quella d’impasto, che consiste nel miscelare gli ingredienti (acqua, farina e lievito) fino a ottenere una massa liscia e omogenea con una certa sofficità ed elasticità. Questa fase è molto importante perché, grazie all’attrito generato impastando, avviene l’unione delle proteine insolubili della farina in un reticolo, la cosiddetta maglia glutinica (formata appunto dal glutine); inoltre, l’impasto incamera aria e questa ossigenazione stimola l’attività dei lieviti. La seconda fase è appunto la lievitazione: praticando la fermentazione alcolica (la stessa sfruttata per vino e birra) i lieviti metabolizzano gli zuccheri derivanti dagli amidi della farina. Il panettiere altro non fa che assecondare questa attività, prima di procedere alla terza e ultima fase, la cottura, dove i lieviti, grazie all’alta temperatura del forno aumentano esponenzialmente e, mentre il forte calore cuoce il pane dall’esterno, loro lo gonfiano dall’interno.

I lieviti sono una famiglia di funghi unicellulari (ascomiceti) e tra questi spicca il Saccaromices Cerevisiae, il comune lievito di birra che è veramente molto vantaggioso perché dà una grande “spinta”: ha uno sviluppo veloce ed esponenziale e come gli altri suoi colleghi, “mangia” zucchero espellendo anidride carbonica e alcol. L’alcol evapora completamente, mentre l’anidride carbonica rimane intrappolata dentro la maglia glutinica; in questo modo, mentre cuoce, l’impasto si gonfia.

Circa mezzo secolo fa, parallelamente ad una omologazione delle proprietà fisiche delle farine (contenuto proteico, raffinatezza e grado di umidità) è stato fondamentale riprodurre in laboratorio il lievito di birra, perché ha reso possibile avere a che fare con un solo microrganismo e rendere così la lievitazione molto più prevedibile, in modo da programmare meglio il lavoro a livello operativo in panetteria, soprattutto a livello industriale.

Il lievito di birra è solo uno della grande famiglia dei lieviti, presenti naturalmente nell’ambiente…ma non sono gli unici! Infatti un altro ceppo di microrganismi molto utile alla panificazione è quello dei batteri lattici, gli stessi che intervengono nella formazione dello yogurt e di alcuni formaggi. Oltre ad essere molto utili per l’equilibrio della nostra flora batterica intestinale, agendo in sinergia con i lieviti i batteri lattici completano la lievitazione nell’impasto: dalla metabolizzazione degli zuccheri, questi rilasciano anidride carbonica e diversi acidi organici tra i quali il più importante è l’acido lattico, acidificando così il prodotto finale e rendendolo maggiormente conservabile.

Dall’antichità fino agli anni ’50, la panificazione avveniva in modo più empirico: se prendiamo della farina, le facciamo assorbire dell’acqua, impastiamo e lasciamo successivamente a riposo ad una temperatura ragionevole, certamente otterremo un qualche tipo di lievitazione. Questo è il naturale procedimento per ottenere un lievito madre (che ovviamente richiede diversi altri accorgimenti).

Il lievito madre permette di ottenere un pane più digeribile, da “companatico”, nel senso che avrà un valore nutritivo più variegato e completo per la nostra dieta. Il pane da lievito naturale dà il meglio di sé quando vengono utlizzate farine integrali, quindi da cereali macinati più grossolanamente in cui sono presenti tutte le fasi del seme: amidi, germe (olio), ceneri (cellulosa), sali minerali. In particolare, il germe contiene svariate vitamine liposolubili molto benefiche per gli stessi microrganismi che lavoreranno al meglio, così come i sali minerali (che saranno disponibili anche nel prodotto finito). Le cellulose assorbono acqua fino a otto volte il loro peso, migliorandone la distribuzione nell’impasto, cosa che migliora a sua volta la formazione della maglia glutinica; inoltre, sempre nelle cellulose, sono presenti i pentosani: enzimi che attaccano l’amido e lo scompongono rendendo disponibile una maggiore quantità di zuccheri metabolizzabili da lieviti e batteri.

Utilizzare del lievito di birra per fare del pane integrale non ha gli stessi benefici, perché non si creerebbe la stessa sinergia tra microrganismi; inoltre, è stato provato che in presenza di grandi quantità di cellulosa e lievito di birra, viene prodotto in gran numero un acido grasso, l’acido fitico, che disturba -se non addirittura modifica- il nostro metabolismo.

L’essere umano ha a che fare con amido, glutine e lievito da circa diecimila anni, ma negli ultimi decenni si è verificata un’ascesa preoccupante di malattie, intolleranze ed altri disturbi correlati a questi “ingredienti” che sono il pilastro della nostra nutrizione.

Ci sono molte realtà –panetterie, pizzerie, ma anche persone- che stanno cercando, sia pure per necessità o passione, di riprendere a fare il pane come si faceva un tempo; è molto importante, ancora una volta, riprendere le conoscenze del passato per poter affrontare questa nuova piaga che rischia di farci perdere la bussola riguardo la nostra nutrizione.

Come dice il grande saggista Michael Pollan ne Il dilemma dell’onnivoro: “in soli cinquant’anni l’ambiente dove andiamo a prenderci il cibo non è più un bosco , il nostro orto o un allevamento, ma un supermercato”.

I nostri sensi, soprattutto l’olfatto e il gusto, si sono formati in secoli e secoli di storia, quindi è bene ricominciare ad ascoltarli, oltre che informarsi riguardo quel che mangiamo, anzi, compriamo.

Perché mangiar male “non è pane per i nostri denti”.

 

 

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